Il vino in antichità giocò molti ruoli differenti, da semplice bevanda a simbolo religioso, da medicamento a merce di scambio. Gli storici fanno risalire a tre millenni prima di Cristo le prime tracce di diffusione della coltivazione della vite e la produzione di vino: dalla culla della Civiltà, la Mesopotamia, questo prodotto si è diffuso in Egitto e quindi, attraverso la fitta rete di commerci navali, raggiunse la maggior parte delle civiltà affacciate sul Mar Mediterraneo.

Il vino in antichità: gli Egizi e le prime "etichette"

Importanti segni storici della coltivazione del vino sono giunti dall'Antico Egitto ai nostri giorni: affreschi raffiguranti vendemmie e pigiatura dell'uva, grandi cantine rinvenute nei pressi dei templi, oltre che numerosi recipienti realizzati per contenere del vino sono testimonianze che lasciano pochi dubbi.

La domanda interna di vino, già allora molto richiesto tra le classi elevate della popolazione, e utilizzato nei rituali religiosi, fu particolarmente intensa nel corso del regno del faraone Ramsete III (1186-1155 a.C.) al punto che alla pratica di piantare vigneti in tutto l'Egitto fu necessario affiancare l'importazione di vino da Palestina e Siria.

Stando ai ritrovamenti, il prezioso nettare fermentava in anfore aperte, poi chiuse ermeticamente con sigilli che riportavano una vera e propria etichetta ante litteram: su questa, comparivano il nome del faraone, la zona di provenienza, l’annata, la tipologia di vino e persino un giudizio di qualità.

Le rotte fenicie, le tecniche greche

Oltre mille anni prima di Cristo, sulle coste dell'attuale Libano, ancor oggi terra di cantine rinomate, i Fenici contribuirono non soltanto a produrre vino, ma anche e soprattutto a diffonderlo lungo le rotte del Mare Nostrum tra le civiltà a loro vicine. Fondatori della città di Marsiglia, i Fenici sono i responsabili dell’introduzione della piante della vite in Gallia.

Fu in quell'epoca che la coltura della vite e la vinificazione si diffusero tra i Greci, che celebrarono tanto la pianta quanto il prodotto come un dono divino (Omero ed Esiodo lo fecero nei loro poemi) e svilupparono in modo sostanziale le conoscenze e le tecniche di coltivazione. Al contempo, la civiltà greca portò con sé questo prodotto nelle colonie fondate in Italia meridionale, Africa settentrionale, Francia e Spagna.

Una volta pigiato, tra i Greci il mosto era travasato in giare rivestite di pece e bollito per ridurne il volume. Al vino era poi usanza aggiungere varie sostanze, allo scopo di migliorare gusto e capacità di conservazione: queste includevano resina, mandorle, trifoglio e gusci di conchiglie in polvere. I vini risultanti avevano una gradazione alcolica particolarmente elevata, e pertanto (come già in uso tra gli Egizi) erano consumati in diluizione, durante cerimonie che univano il consumo di cibo a filosofia, retorica, musica ed erotismo.

Gli Etruschi valicano le Alpi

Più a nord dei Greci, risalendo lungo la penisola italica, gli Etruschi addomesticarono le varietà di vite selvatica che crescevano spontanee, forse da tempi precedenti alla comparsa dell'uomo. Sebbene coltivato in modo più grezzo rispetto a quanto facevano i Greci, il vino etrusco rappresentava un bene riservato alle classi elevate (in un’epoca in cui la maggior parte della popolazione consumava idromele e birra) ed era utilizzato nei rituali dedicati al dio Fufluns, l'equivalente del Dioniso greco.

Gli storici riportano anche in questo caso di vini dall'elevata gradazione alcolica, al quale era usanza aggiungere miele e pece. Agli Etruschi dobbiamo essere grati per aver diffuso il vino nell'Italia del nord e oltre le Alpi, durante gli spostamenti che li videro allontanarsi dal bacino mediterraneo per raggiungere il cuore dell’Europa: il vino in antichità fu usato come merce di scambio e giunse tra le mani dei Celti, che forse non avevano mai gustato prima quella bevanda nata sulle coste soleggiate del sud.

L’Impero Romano e la diffusione europea della vite

La diffusione del vino oltre i confini mediterranei si deve tuttavia in massima parte a Roma e all'espansione del suo impero. La vite viaggiò con le legioni nell'Europa continentale, in particolar modo in Francia, Germania e nel nord della Spagna: le terre di nuova conquiste furono unite a quelle che tradizionalmente producevano vino (ed erano sotto il controllo romano) ovvero Etruria e Grecia. Anche in regioni dove gli storici riscontrarono tracce di presenze antiche della vite, furono i Romani a rendere la viticoltura una professione: ad esempio, sebbene fossero stati i Celti a coltivare per primi la vite sulle sponde del Danubio, la produzione di vino nell’odierna Austria si diffuse sotto il controllo dell’imperatore romano Probo.

Tra liriche e trattati, sono numerosi i testi romani giunti ad oggi, tra i quali appaiono anche veri e propri manuali sulla coltivazione della vite. Ciò si spiega considerando che l'obiettivo primario di Roma non fu l'ottimizzazione della qualità del vino, bensì la diffusione delle tecniche di coltivazione fino ai più remoti angoli dell'Impero. Se il vino in antichità era riservato ai soli nobili, tra i Romani si puntò inizialmente anche ad offrire questa bevanda ad un prezzo accessibile in ogni ceto sociale. I vini più popolari erano poco trattati, possedevano una bassa gradazione alcolica, e venivano consumati diluiti con acqua. Dopo cottura, i vini della nobiltà risultavano invece densi, forti, talvolta affumicati ed erano mescolati ad acqua, miele e altre essenze. 

Tra i romani, inoltre, si riscoprirono e studiarono le qualità curative del vino. Sebbene il vino in antichità fosse già conosciuto per le sue proprietà favorevoli alla salute fisica (lo riportava Ippocrate nel quarto secolo prima di Cristo), i Romani contribuirono a questa ricerca, identificandone la capacità corroboranti e di curare ferite.